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Concerto di gala - Presentazione Stagione Concertistica 2017/2018


Venerdì 12 maggio 2017, ore 21



pianisti BRUNO CANINO e ANTONIO BALLISTA

Programma
L. van Beethoven, Sinfonia n.9 in re min. op.125
(Trascrizione per 2 pianoforti di F. Liszt)

 

DUO PIANISTICO CANINO-BALLISTA
Sessant’anni fa Antonio Ballista e Bruno Canino si incontrarono al Conservatorio di Milano nella stessa classe di pianoforte e spinti da voracità musicale pari solo alla loro curiosità, incominciarono a leggere insieme una grande quantità di musica. Si presentarono prestissimo in pubblico dando inizio ad una fortunata carriera che si è protratta fino ad oggi senza interruzioni.  Nel campo della “Neue Musik” le loro esecuzioni ebbero un valore storico: la loro presenza fu fondamentale per la diffusione delle nuove opere e per la funzione catalizzatrice che esercitò sui compositori. Il repertorio contemporaneo infatti si arricchì di molte composizioni dedicate al duo: dal Concerto di Berio eseguito in prima mondiale a New York con la New York Philarmonic diretta da Boulez, la cui incisione discografica con la London Symphony sotto la direzione dell’autore valse al duo un prestigioso Music Critic Award, al più recente,“Cloches II “di Donatoni. Il duo ha suonato sotto la direzione di Abbado, Boulez, Brueggen, Chailly, Maderna, Muti, con orchestre come BBC, Concertgebow, Israel Philarmonic, Filarmonica della Scala, London Simphony, Orchestre de Paris, Philadelphia Orchestra, New York Philarmonic.
Dallapiccola, Boulez, Kagel, Ligeti e Cage effettuarono concerti con il duo e Stockhausen collaborò personalmente in una lunga tournée di “Mantra”. 
Oltre ad una scelta vastissima di musica contemporanea, nel loro repertorio figura l’opera completa di Brahms, Debussy, Mozart, Rachmaninov, Schubert, Schumann e Stravinskij.

SESSANT'ANNI DI AMICIZIA
Per molto, anzi, per moltissimo tempo il pianoforte fu il veicolo privilegiato per la diffusione capillare della musica: le sinfonie, le ouverture, i divertimenti, le serenate, le cassazioni, i trii, i quartetti, i melodrammi - e chi più ne ha lo metta, come diceva un direttore di conservatorio noto per la aristocratica forbitezza del suo eloquio - entravano nelle dita del pianista e le facevano correre e saltellare sui tasti per dare all'ascoltatore una loro immagine non infedele. Se le dieci dita erano quelle di Franz Liszt il pianoforte, come attestano autorevolmente i contemporanei, poteva sostenere il confronto con l'orchestra. Se erano quelle di un comune tapeur l'immagine diventava piuttosto sfuocata. Ma c'era un potente refugium peccatorum: il quattro mani.
Un pianoforte a tavolo o un pianoforte verticale accostati al muro occupano poco spazio e possono essere collocati agevolmente anche negli angusti appartamenti della piccola borghesia, che aspira ad acculturarsi. Due persone volonterose leggono, prima compitando, poi più agevolmente, la sinfonia di Beethoven che non hanno mai avuto la ventura di ascoltare dall'orchestra. Quando si sentono pronti radunano attorno a sé, eccitati e festanti, i familiari e gli amici. Si ascolta religiosamente la sinfonia, la si commenta, ci si commuove, ci si congratula con gli esecutori. Poi si servono i biscotti e il rosolio preparati dalla padrona di casa, si chiede ai pianisti se non sono troppo spossati per esibirsi una seconda volta, si riascolta la sinfonia e ci si accomiata canterellando i temi principali che si sono fissati nella mente.
Così nella seconda metà del Settecento e per l'intero Ottocento. Nel Novecento arrivano come guastatori il pianoforte riproduttore che suona da solo, e la radio e il disco, e l'uso delle fervorose esecuzioni casalinghe prima decade e poi sparisce. Ma io sono abbastanza agé da averlo ancora conosciuto, quell'uso antico. Mentre studiavo privatamente la composizione percorsi in questo modo, suonandole a quattro mani con il mio maestro che me le spiegava e me le commentava, le sinfonie di Brahms e gli ultimi quartetti di Beethoven, che studiai poi in partitura riuscendo a immaginare l'effetto di una vera esecuzione. Il mio maestro, Luigi Perrachio, aveva completato i suoi studi di pianoforte a Vienna con Ignaz Brüll, che le sinfonie di Brahms le aveva suonate a quattro mani addirittura con Brahms, e pensava che il quattro mani fosse il veicolo ideale per fissare in mente la musica sinfonica e da camera. Credo che avesse ragione. Per lo meno, con me quel metodo funzionò alla grande e la mia gratitudine per Luigi Perrachio è rimasta intatta.
Talvolta la trascrizione per pianoforte a quattro mani delle opere orchestrali era dovuta agli stessi autori, talvolta a specialisti che conoscevano tutti i trucchi del mestiere e che procedevano alla velocità delle spie, con piena soddisfazione degli autori. Ma il quattro mani utilitaristico, artigianato di gran classe, non escludeva il quattro mani artistico. Tutti i grandi compositori di musica per pianoforte solo a partire da Mozart - ed escluso soltanto Chopin, che pure suonò musiche di altri in coppia con Moscheles, con Hiller, con Liszt - composero anche, qual più, qual meno, per pianoforte a quattro mani, mettendo insieme un corpus considerevole di opere di gran pregio che da un certo momento in poi non ebbe più la sua naturale collocazione nelle esecuzioni private ma che non poteva restare confinato ai margini della vita musicale pubblica. Il concertismo conobbe così il fenomeno dei duo pianistici professionali stabili che svolgevano attività concertistica sia a quattro mani che con due pianoforti. E dopo qualche tempo si cominciò a pensare che anche le versioni a quattro mani della musica sinfonica e della musica da camera avevano dei buoni numeri per essere rimesse all'onor del mondo.
Il duo formato da Bruno Canino e da Antonio Ballista fu tra i primi a proporre trascrizioni, sia a quattro mani che per due pianoforti. E io ricordo la sorpresa - con un po' di scandalo - che ci fu quando i due eseguirono la Sinfonia n. 9 di Beethoven trascritta per due pianoforti da Liszt e la Sagra della primavera trascritta a quattro mani da Stravinsky. Vero è che Stravinsky si era assunto la responsabilità della trascrizione e che l'aveva addirittura registrata su un rullo di pianoforte riproduttore. Registrata tutta da solo, e quindi nominalmente a quattro mani ma realmente a due mani moltiplicate per due. Però Stravinsky, che badava a ricostruirsi un patrimonio dopo averlo perduto con la Rivoluzione d'Ottobre, era sospetto di opportunismo e la sua autorevolezza veniva messa in forse. Quanto a Liszt, le sue fortune critiche avevano raggiunto il punto più basso e solo il suo "tardo stile",avanguardia delle avanguardie, veniva preso sul serio.
Erano i tempi in cui la musica era timbro prima che altezza o intensità. E allora, come rinunciare al solo di fagotto con cui si apre la Sagra della primavera? Come rinunciare al coro nella Nona Sinfonia? Vade retro. Se mi è permesso di fare un altro po' di autobiografia, quando uscì il disco del duo Canino-Ballista con la Sagra a quattro mani mi venne chiesto dall'editore di scrivere le note di presentazione. Pensavo di cavarmela parlando del pezzo e non della trascrizione, e questo escamotage si rafforzò quando sentii l'assolo di fagotto rivisitato pianisticamente. Ma a mano a mano che andavo avanti nell'ascolto mi accorsi che la trascrizione reggeva bene e che mi offriva molti spunti di conoscenza. Mancava il gioco dei timbri, ovviamente, ma emergeva potentemente il ritmo, il ritmo nudo, non rivestito dal colore. E così andò a finire che venni preso dall'entusiasmo e che tutti i miei dubbi si liquefecero.
Curiosamente, ma non troppo, la definitiva assoluzione delle trascrizioni venne dall'avanguardia. Pierre Boulez, organizzando una stagione sinfonica dell'Orchestre de Paris, inserì un sacco di trascrizioni nella programmazione e scrisse un articolo che... cambiava le carte in tavola. Tutto d'un botto il Canino-Ballista che stava più avanti degli altri si trovò sommerso dalla marea montante. E anche la discografia fece la sua parte: quattro mani e due pianoforti erano stati legittimati a riprendere qualsiasi trascrizione, purché - la foglia di fico - fosse d'epoca.
Riprendendo le vetuste trascrizioni il duo Canino-Ballista non faceva un'operazione intellettualistica - altrimenti non avrebbe avuto successo - né un'operazione commerciale - altrimenti non avrebbe ricevuto il placet della critica. Faceva un'operazione di evoluzione della cultura in relazione con una evoluzione della creatività. Nel momento in cui i compositori sperimentavano  le possibilità di musiche non strettamente legate a un solo mezzo sonoro strumentale, la trascrizione ridiventava possibile o, almeno, ridiventava possibile l'esplorazione del repertorio storico della trascrizione. Quindi, eseguire la Nona di Beethoven-Liszt o la Sagra a quattro mani significava, paradossalmente, adeguare la deontologia dell'interprete all'avanguardia creativa. E questo poteva farlo solo un duo che, inizialmente, sull'avanguardia aveva puntato tutte le sue carte. Il duo Canino-Ballista arrivò un po' prima del duo Kontarsky, anch'esso molto legato alle avanguardiee che comunque praticò poi poco le trascrizioni. Oggi non c'è duo che non abbia una larga fetta di trascrizioni  nel suo repertorio e non c'è pubblico che non si dichiari soddisfatto dopo averle sentite. A questa evoluzione della cultura il duo Canino-Ballista ha dato un notevolissimo, un fondamentale contributo.
Con ciò non voglio dire che sia questa la sola ragione per cui, a sessant'anni dalla sua costituzione, possiamo parlare del duo Canino-Ballista come di un complesso di rilevanza storica. Ma una delle ragioni che hanno fatto del Duo un protagonista dell'interpretazione musicale negli anni a cavallo fra Novecento e Duemila è questa. La seconda ragione, come si evince del resto da ciò ho testé detto, è la disponibilità verso la musica contemporanea d'avanguardia. Il numero delle prime esecuzioni assolute e delle prime esecuzioni italiane che ebbero come protagonista il duo Canino-Ballista è molto elevato. Berio, Donatoni, Stockhausen, Boulez, Ligeti, Castaldi, Bussotti.... Si può dire che non c'è pagina importante della seconda metà del Novecento che non lo abbia visti all'opera, il duo Canino-Ballista. Superfluo fare degli elenchi. Ma vorrei ricordare, perché è a suo modo istruttiva, la prima esecuzione che ascoltai della Passion selon Sade di Bussotti, con i Tableaux vivants avant la Passionselon Sade per due pianoforti, eseguiti anche innumerevoli volte separatamente, in concerto.
La esecuzione della Passiona cui faccio riferimento ebbe luogo all'Angelicum di Milano, in verità non con la specificazione selon Sade ma selon ****. L'Angelicum era un'istituzione dei Frati Minori e Sade non era precisamente un tipo che i frati avessero in odore di santità. Riccardo Allorto, direttore artistico dell'istituzione, propose il pezzo. Il padre Zucca, che gestiva da padrone l'Angelicum, era un personaggio di grande intelligenza e di ancor maggiore furbizia. Furbescamente autorizzò l'esecuzione che avrebbe fstto clamore, a patto che i quattro asterischi sostituissero il nome di Sade. Il pubblico ignaro rimase sconcertato quando, durante i Tableaux vivants, vide Canino e Ballista che trattavano i due pianoforti come due cavalli riottosi, picchiandoli, frustandoli, frugandogli nella pancia. Poi, quando Cathy Berberian andò a strusciaglisi contro, ai due pianoforti-cavalli, evocando per i dotti le leggende degli amori equini della duchessa di Parma Maria Luigia,, cominciarono le urla di disapprovazione, anzi, di furore. La Berberian, Canino e Ballista proseguirono imperterriti e serissimi, almeno apparentemente dediti soltanto alla musica, e l'esecuzione andò comunque in porto. Che gran bei tempi, erano quelli! Due lustri or sono, celebrando i cinquant'anni di attività insieme, Canino e Ballista ripresero i Tableaux vivants. Il pubblico non protestava più: rideva.
La terza motivazione di eccellenza del duo Canino-Ballista riguarda il loro approccio al repertorio tradizionale. Il Duo ha percorso con rispetto e amore il repertorio a quattro mani e per due pianoforti da Bach a Bartok, riuscendo a non ghettizzare né l'avanguardia né la storia. E questo è un raro merito: non mettere il presente in guerra col passato, o viceversa, significa concepire la musica come un continum storico in cui i valori umanistici prevalgono su tutto. E questo è fare della musica una ragione di vita.

Piero Rattalino